[4,2 min lettura]
Sono a Ponta do Sol. E 16 chilometri di trekking mi separano da Cruzinha.
Attaccano con una salita pendente e quei 16 chilometri sembrano già troppi, però stringo i denti e nascondo il fiato corto. Mi vergogno: davanti a me c’è una ragazzina che ha in testa una tanica gialla e avanza velocissima sotto quel peso. Le stiamo dietro finché non si ferma di fianco a una costruzione con una vista splendente - quasi sacrale - diretta sul mare. Altrove sarebbe il luogo per un resort da sogno, ma lì – più profani – ci sono blocchi di mura e cemento. Tra le sbarre della struttura, sbucano grugni ad accogliere la ragazza e, soprattutto, la colazione. Così capiamo che è un porcile con vista.
Ponta do Sol, alle nostre spalle, sta lì su una punta rocciosa nella costa settentrionale di Santo Antão e si fa più piccolo via via che saliamo. Tutto il percorso che ci porta a Cruzinha segue un sentiero lungo la costa. Cammino per mano a salite e discese di scogliere vertiginose e all’Atlantico che schiuma a destra. Il rumore delle onde mi accompagna, mi sprona e mi ricorda che con quel mare impetuoso non c’è da scherzare. Le montagne di fianco, alte come Dolomiti, coprono tutte le sfumature del color ruggine. Formano strati di bordeaux e marroni che, a saperle leggere, indicherebbero le ere geologiche.






Eccoci! Questo è il racconto conclusivo da Capo Verde. Se vuoi recuperare le prime tappe, le trovi tutte qui: CAPO VERDE
Lungo la strada incontriamo paesini che dire pittoreschi è riduttivo.
Case colorate aggrappate alle scogliere e il mare da sfondo, così è quello Fontainhas - il più suggestivo e più in alto di tutti. Poi incontriamo Corvo, altro villaggio in una valle remota, con case di pescatori, montagne terrazzate e campi di mais. Dopo Corvo, c’è una discesa ripida con 14 edicole che raccontano le tappe della Via Crucis. Così, studiando le raffigurazioni, vado avanti e dissimulo la stanchezza.
Arriviamo a Formiguinhas, penultima tappa, dove ci fanno un caffè, e c’è una piazzetta colorata che è un invito a restare in quel posto finto sospeso nel tempo.





Poi prati di giallo paglia, il colore che prende l’erba ormai secca, e una salita disegnata a zig-zag, sotto il sole battente, ci fa arrampicare su per una vetta di roccia. Giù di nuovo fino a quando il mare tocca il sentiero in una spiaggia isolata di nera sabbia vulcanica.
Via via case e villaggi abbandonati, in mezzo a campi un tempo curati. Le mura resistono silenziose ai segni del tempo, mentre i tetti sono crollati. Rimangono utensili, un vecchio mortaio, reti da pesca e vicende sbiadite. Mi fa tenerezza una scuola minuscola, ormai polverosa, ma che porta indelebile i segni delle piccole storie germogliate lì dentro. Banchi, graffiti, un vecchio PC, è rimasto un astuccio dimenticato lì.
Come dare torto a chi se ne è andato, a tutta la gente che ha cercato fortuna in una città più grande o all’estero altrove. Quando vivi di pesca o poco di più, in un villaggio magnifico ma perso nel tempo, ti viene spontaneo rincorrere lontana la speranza di una vita migliore. Però poi chissà se l’hanno trovata, nel grigio distacco di una città europea.


Raggiungiamo Cruzinha, dopo 5 o 6 ore, che è un borgo di pescatori come gli altri, ma illuminato dalla luce e dalla soddisfazione dell’arrivo. Mangiamo col gusto di chi ce l’ha fatta.


Troviamo un passaggio per ritornare al punto di partenza, a Ponta do Sol che ci aspetta, in una Jeep che taglia per l’entroterra, tra palme altissime, mezze scheletriche. La strada si insinua in foreste montane e piantagioni terrazzate verde bottiglia, di banane, papaie e canna da zucchero.
Ponta do Sol si annuncia immersa nel sole, come vuole il suo nome che rende l’idea di quel borgo che brilla aranciato.
Lì ritrovo Bolo de Cana, che è la cagnetta che mi ha tenuto compagnia quei giorni, con cui le sere ho guardato i tramonti di un rosso dipinto. Bolo de Cana ce l’ho chiamata io e le sta a pennello - anche se in portoghese significa “torta di zucchero di canna” - mentre soddisfatta si fa grattare il pelo ispido e il sole affonda nel mare.



Dai portoni delle case esce una musica, passeggiando tra le viuzze si alternano motivi diversi. Quando leggevo di questi luoghi dall’Italia, pareva che la musica di sottofondo rispecchiasse libertà, gioia, passione degli abitanti. A me la spensieratezza è arrivata a tratti, più spesso la fatica di tirare avanti.
Chiudiamo la serata al porticciolo, con i pescatori e i disegni sui muri. Tra i murales c’è quello perfetto per l’addio. L’ultima serata a Ponta do Sol e l’ultimo racconto capoverdiano. È il testo di una famosa “morna”, genere musicale tipico di qui, melodioso e malinconico come il fado portoghese. Questa morna è scritta da António Caldeira Marques, detto l’avvocato senza paura, attivista politico per i diritti umani.
L’ha scritta in onore di Ponta do Sol, suo villaggio natale. Ci sono le strofe pennellate sul muro, accanto al mare e al sole che cala: così vicine che leggendole paiono sussurrate dall’oceano stesso.
Allora anche io ti saluto con le parole della canzone, tra le onde che scrosciano.
Dalla mia terra Ponta do Sol
Conservo dentro di me una nostalgia immensa
Per questo voglio cantarla sottovoce
Con la melodia che l'amore intona
Ponta do Sol, mio tenero nido
Sento che le tue rocce maestose
Gridano nell'aria, nel cielo blu d'anil
Non può esserci luogo più bello
Sulla Roccia Grande sotto la luna
Mai avrò una visione tanto magnifica
Mentre le onde baciano gli scogli
Il villaggio dorme e il mare mormora
Paesaggio semplice, franco e amico
In una valle, in un campo di mais
La sua gente, un popolo umile
Annega le pene nel mare impetuoso
Gaia
❤️ Ti è piaciuto l’ultimo racconto a Capo Verde? Mettimi un cuoricino!
📩 Ci vediamo mercoledì prossimo. Ci aspetta un racconto urbano… Disturbante al punto giusto.
💬 Lasciami un commento, fammi sapere se ti sono piaciute le storie capoverdiane:
👭 Condividi i miei racconti, falli scoprire a un amico:
📱 Seguimi su Instagram & Facebook
☕ Ci vuole caffeina per scrivere:
Qui trovi il racconto di Pico da Cruz, la faccia montana di Santo Antão:
E qui, da tutta un’altra parte del mondo, uno dei miei preferiti dall’Himalya:
Wow che posto assurdo! Sarebbe davvero bello fare un trekking lì. Lo aggiungo alla lunghissima wish list ahah