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“Parlaci tu!”
Sbuffo perplessa: non è che io conosca la lingua, anzi non ho ancora capito bene che suono abbia quel dialetto locale.
“Sì sì, parlaci tu che vi capite.”
In viaggio sono l’addetta alle conversazioni surreali, quelle in cui sappiamo dal principio che la comunicazione sarà impervia e soprattutto ridicola. Non è che io abbia particolari doti espressive o linguistiche, il mio unico riconosciuto merito è quello di non vergognarmi di parlare a casaccio e avere una resistenza magistrale davanti alle brutte figure. Nel caso specifico sfoggio il mio peggiore spagnolo, che in qualche modo credo somigli al portoghese e quindi forse anche al creolo capoverdiano.
Approdati col traghetto a Porto Novo, ci affacciamo sul piazzale affollato di minibus bianchi Toyota, un po’ vecchiotti e scalcinati, ma tutti lucidi e puliti alla perfezione. Devo trovare quello che ci porterà a Pico da Cruz: villaggio a 1600 metri sul livello del mare che si dice riservi una vista mozzafiato su tutta l’isola di Santo Antão e sull’oceano. Noi ci passeremo Capodanno. Sempre di riuscire a raggiungerlo.
“Alugares?”
Mi chiedono gli autisti.
“No, gracias” rispondo io: non ho chiarissimo dove devo andare, ma di sicuro non ad Alugares. Però capisco che deve essere un posto interessante, questo Alugares, visto che tutti vogliono portarmi lì. Mi servono giusto 4 o 5 dialoghi grotteschi per capire che Alugares non è una città e nemmeno una destinazione, ma esattamente il modo per indicare i pulmini collettivi. Quindi inizio a rispondere che sì, vorrei un passaggio nell’Alugares.
Poi, altri vari scambi e risate per capire che a Pico da Cruz - almeno come lo pronuncio io - non ci va proprio nessuno. Una volta scoperto che la zeta finale si pronuncia diversa, con un “SC” strisciato e sonante, troviamo il nostro uomo.
I pulmini collettivi funzionano uguale un po’ dappertutto nel mondo: quando sono pieni abbastanza, l’autista parte e le fermate si fanno a chiamata.
Ciao! Stai leggendo la terza tappa capoverdiana. Hai perso le prime? Eccole: I METALLICA, LÌ NELL’ATLANTICO & UN LANCIO DI DADI MI TRAGHETTA A MINDELO
Partiamo e presto rimaniamo gli unici passeggeri ad affrontare la salita dell’isola.
La costa si allontana e il paesaggio è quello del Re Leone. Arido ocra, distese brulle giallastre, rocce scure e cespugli bassi spinosi. Acacie nodose da vera savana.
L’autista si dà un gran da fare. Fa chiamate e risponde, prende accordi, conclude affari, interrompe la marcia, scende, risale. Due minuti di guida e poi suona il clacson: sbuca gente a comando che gli lascia scatole, pacchi, sacchetti. E, viceversa, lui consegna altra merce. Ripartiamo. Qualche tornante, un agglomerato di case, suona il clacson di nuovo e arriva una donna a ritirare farina.
Intanto, salendo, il paesaggio è cambiato: si è fatto più verde, con terrazzamenti e vallate. Non mi ero accorta alla partenza, ma il tettino del bus doveva essere colmo per ogni esigenza, un magazzino ambulante. L’autista si arrampica, sento i passi sopra la testa, il tettino che scricchiola e spero che regga. Compare un uomo di fianco, gli passa una latta dall’alto. Tutta la scena pare un rituale, una coreografia studiata, perfetta.


Siamo quasi in cima alla montagna, una nebbia ovattata inghiotte la mulattiera là in basso. L’ultima fermata è per una ragazza. Alta, slanciata, ma poco più di una bimba. Aspetta scalza sull’acciottolato, la pelle ambrata e gli occhi celesti. Il nostro autista è di nuovo sul tetto. Le passa due sacchi di iuta annodati. Lei li poggia a terra e i sacchetti si muovono, si agitano e stridono, alla fine grugniscono. Noi ci guardiamo: sono porcellini! Mi sa che il cenone non gli porterà fortuna. La ragazza incurante li carica sulle spalle e si allontana scattante.
Dopo un po’ il pulmino si arresta del tutto. Ci fa scendere: siamo arrivati. Per me si è fermato in un posto qualunque, ma c’è un murale a convincermi di essere a Pico e, soprattutto, la strada è finita. Prendiamo gli zaini, ringraziamo, iniziamo a girare. Ci domandiamo come riconoscere la casa dove dormiremo, ma è la casa che riconosce noi.
O meglio, è un bambino che fa da vedetta e, elettrizzato, ci accusa: Turistas!!
“Turistas. Turistas. Turistas!” Continua a gridarlo e puntare il dito finché lo seguiamo e ci raggiunge anche la mamma. Ci fanno strada. La mamma in silenzio e il bimbo orgoglioso di averci scovato. Per lui siamo noi la svolta del giorno e, come è normale, non fa caso al paesaggio. Il bimbo fissa noi incuriosito e noi increduli fissiamo il panorama: non ci credo che avrò la fortuna di vedere i fuochi da lì.



Ancora c’è tempo però prima di sera e partiamo in escursione per il Cova Crater, antico cratere vulcanico al centro di Santo Antão. Dalla cima è una conca immensa, un anfiteatro imponente, terrazzato e verde. In fondo al vulcano ci vive gente, un piccolo villaggio di persone sperdute. Ci accompagna per la salita un cane a tre zampe, proprio ruffiano, che ci scorta sperando in un pezzo di pane.
La casa dove dormiamo basterebbe per dieci e anche il cibo che ci lasciano è per altri e tanti. Ha il tetto piatto dove saliamo e da cui splendono i sentieri a strapiombo, le colline verdissime di pini ed eucalipti, e le vallate che sfumano fino a Porto Novo. Poi il blu profondo a tratti nebbioso e all’orizzonte un’isola che mi fa ciao: è São Vicente che ho lasciato quella mattina soltanto. Quando fa notte, il buio è totale e a mezzanotte l’oceano si accende. I fuochi si sdoppiano: a valle sul porto di Santo Antão e, al di là del mare in competizione spietata, quelli che brillano sopra Mindelo.
La mattina dopo, la signora gentile ci ha lasciato il roccio per iniziare la giornata. Fuori dall’Umbria il roccio credo sia un ciambellone. Però per me - da umbra spellana - quello è proprio il roccio tipico da colazione. Al massimo posso chiamarlo “torcolo”, in perugino. Anche il sapore è azzeccato, quello lì giusto del dolce di casa.
Così dal tetto saluto il 2025 che nasce e mangio il mio roccio sull’alba del mondo.


Gaia
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Gaia, ti devo ringraziare per avermi fatto conoscere il mondo mentre sto comodamente seduta sul mio divano! Scrivi così bene che mi sembra di essere lī con te e poi ci sono anche le fotografie ...!
No va beh era davvero un "roccio", incredibile!!! Il ciambellone è universale 😂