[4,3 min lettura]
Ma quanto è bello il film Jumanji?
Quello con Robin Williams, quello del gioco da tavola maledetto che a ogni lancio di dadi fa apparire animali feroci, piante carnivore o un cacciatore spietato. Da bambina l’ho visto e rivisto. Ritrovarlo stamattina mi ha entusiasmato anche se era già cominciato, senza audio e con i sottotitoli in portoghese.
Sono rimasta concentrata e seduta col naso all’insù rivolto allo schermo, molto grata per la scelta cinematografica agli addetti della Capo Verde Interlhas, la compagnia navale che ci ha portato verso l’isola di Sao Vicente. Grata perché Jumanji mi ha fatto dimenticare il mal di mare che mi minacciava sul ponte: pronto a sbocciare a ogni mio passo sbatacchiante e a ogni sguardo alle onde. L’oceano non era particolarmente increspato e chi non aveva lo stomaco in subbuglio si è goduto il sole che sorgeva su quel blu profondo, i profili delle isole all’orizzonte e i pennacchi rocciosi che emergevano dal mare.
Quando la nave ha attraccato, sono stata trascinata verso le passarelle di sbarco. Controvoglia perché Robin Williams era al lancio finale dei dadi e proprio allora con occhi sgranati urlava "Jumanji," terminando il gioco.
“Grandissimo Robin, fagliela vedere tu al cacciatore: lui è spietato ma tu sei più furbo.”
Con la coda dell’occhio ho visto sullo schermo la sudatissima vittoria: il mondo del film venir risucchiato dentro il tabellone del gioco da tavola e io invece sono stata espulsa sul pontile di Sao Vicente, tra la folla vociante.
Ciao! Siamo alla seconda tappa capoverdiana. Hai perso la prima? Eccola: I METALLICA, LÌ NELL’ATLANTICO
Mindelo che mi ha accolto è una città portuale dai colori pastello, case coloniali e vie acciottolate, mercati, bar e locali. È famosa per la vivacità e i festival musicali, io l’ho trovata sonnacchiosa fino allo sfinimento. Sarà colpa delle attese estenuanti per qualsiasi servizio, che sia una carta SIM o un pesce grigliato, ma la città non mi è rimasta nel cuore.
Per rimanere sano di mente a Mindelo, devi dimenticarti che il tempo è denaro, che le vacanze finiscono e che la vita è un timer che va alla rovescia.
L’isola però sì che è scenografica e l’abbiamo girata con un cinquantino che - povero chicco - non ce la faceva a salire su e giù per quelle strade di giallo ocra e marrone rossastro. La popolazione di Sao Vicente sta tutta concentrata a Mindelo: appena fuori l’isola è deserta e a tratti desertificata di sabbia. Ho camminato a fatica su dune enormi che scivolavano verso il mare, spiagge gigantesche a perdita d’occhio e interrotte solo da vulcani spenti, di un marrone bruciato che pareva cacao.
Abbiamo trovato qualcuno a Baia de Gatas, dove c’è un pontile - lungo lunghissimo - e in fondo gente che si tuffa a ritmo di musica.
E poi altre persone a Sao Pedro, dei ragazzi del posto che ci circondano in spiaggia e ci annunciano orgogliosi e nell’ordine: (1) di avere con loro dell’erba davvero speciale, (2) di averla in parte appena fumata e (3) che ci porteranno a vedere le tartarughe in barca.
Per quanto adori le tartarughe marine, andare in mezzo all’oceano con il capitano strafatto non mi pare un’idea vincente, quindi stavolta rinunciamo e sento da qui forte il sospiro di sollievo di mamma e papà che stanno leggendo.
Il nostro motorino, con fatica e sbuffi, ci ha portato sulla cima di Monte Verde dove dall’alto si è aperta la visuale epica su tutta l’isola. Proprio in cima una base militare con il cartello “CAO BRAVO” che in portoghese è cane feroce e non ci abbiamo pensato due volte a tornare giù di corsa. Perché una volta l’anno ci sta pure che mi rincorra un Rottweiller, ma perseverare è diabolico e la seconda me la risparmio.


Ora sono qui a Praia de Lajinha, la giornata agli sgoccioli.
Stesa al tramonto. Immersa nei rumori da spiaggia: onde che si infrangono tranquille sul bagno asciuga e bambini che giocano.
Schiamazzano con quella sonorità cantata con cui risuona alle mie orecchie il portoghese. In questa parte di mondo il calo della natalità non credo sia un tema, bimbetti e bimbette sbucano a frotte tra la sabbia e le onde - con quelle capigliature africane che sono uno spettacolo di ricci fitti per aria e sfida costante alla gravità.
In mezzo a loro stona un bimbo biondissimo coi capelli lunghi fino alle spalle. Trasporta avanti e indietro - abbracciandoli stretti - sassoni neri levigati dal mare. Io continuo a pensare che gli scivoleranno di mano e atterreranno su quel piedino minuscolo e si farà un male tremendo. Però la sua mamma, nordeuropea, forse olandese, è tranquillissima e lo guarda appena. Mi sa che l’indole da italiana che produce viziati figli mammoni ce l’ho innata e mi metto a controllarlo io: non si sa mai.
Così mi ritrovo in un momento perfetto che pare la sceneggiatura girata a tavolino per qualche pubblicità progresso di diversity & inclusion. Solo che è vera, spontanea, normale. Tra tutti quei bimbi con la pelle scura che urlano e ridono come tutti i bimbi del mondo, la più intraprendente - dal costumino rosa e una montagna di treccine nerissime fermate alla base da perline fucsia - si avvicina saltando. A ogni balzo le treccine la anticipano col rumore delle perle di plastica che tintinnano e creano un vortice a incorniciarle la faccia furba.
Si avvicina all’olandesino biondo e gli schizza gentile un po’ d’acqua di mare, lo lava così dalla sabbia che ha addosso ed è un invito palese a giocare con lei. Lui è più piccino e ligio alle regole, lo sa che senza braccioli non può andare in mare. Però è entusiasta. Vedo gli occhi celesti che si illuminano e si piantano dentro quelli neri di lei. Abbandona subito i sassi pesanti e inizia ad acciaccare l’acqua coi piedini goffi, sollevando schizzi verso la bimba.
Continuano a lungo, vicini vicini, con bocca spalancata – identica - in una risata. Lui zampettando dal bagno asciuga e lei rimane accucciata tra le onde. A volte un’onda più alta la copre, lasciando fuori solo la matassa di trecce. È proprio piccina, senza braccioli, e - nel dubbio - sorveglio anche lei.
Rimaniamo così in mezzo alla sabbia: loro spensierati, io che controllo e che mi ritrovo con la bocca che ride, la vita che si semplifica a ogni sorriso e l’oceano a sbiadire ogni differenza.
Gaia
❤️ Ti è piaciuto il secondo racconto a Capo Verde? Mettimi un cuoricino!
📩 Ci vediamo mercoledì con il prossimo con la terza isola che è la più bella: Santo Antao!
💬 Ti piace quello che scrivo? Lasciami un commento e condividi le mie storie, mi aiuterai a farmi conoscere!
📱 Seguimi su Instagram & Facebook
☕ Ci vuole caffeina per scrivere:
Qui c’è il mio racconto armeno preferito:
Un racconto che descrive perfettamente la natura e l'atmosfera di Mindelo e dei luoghi circostanti, ma quello che ti resta dentro è la dolcezza di due bambini che giocano e la tua apprensione "materna" che deriva da un recondito attacco di mammite! Super Gaia...
Hmmm ………. Quella nascosta voglia di maternità……..😁
A parte gli scherzi racconto con parti molto carine davvero!