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Questa è una storia vecchia. La sto scrivendo nell’attualissimo aprile 2025, ma arriva dal passato. Un viaggio di quasi 8 anni fa. Non posso ricordarlo così bene da farci un racconto? In condizioni normali e con la mia memoria saltellante direi che hai ragione: è passato troppo tempo.
Come leggerai però, quello era tutto tranne che un viaggio standard e l’odore del sangue, della carne bruciata, il rumore dei tamburi e i lamenti dei cani, mi rimarranno aggrappati per ben più di 8 anni. Posso quindi rassicurarti: ogni parola è vera. E se mi concentro, provo ancora l’altalena di incredulità, disgusto e timore che avevo quell’estate, a Tana Toraja.
Prima di cominciare, una raccomandazione: seguimi lì come fossi in un sogno. Guardati intorno e non giudicare. È troppo lontano da noi per capire, si può soltanto stare a sentire.
Siamo in Indonesia, agosto 2017.
Non tra lo Yoga, gli smoothie e gli inflazionati tramonti di Bali, ma a Sulawesi. E sono lì per vedere i funerali. Bella vacanza, complimenti, verrebbe da dire. Invece sono entusiasta di poter dire di averlo vissuto. Però c’è poco da fare la superiore adesso, quando ero lì ero un po’ inorridita.
Arrivo in scooter tra le risaie e si apre davanti un villaggio Toraja. Già da lontano vedo le case che sono a forma di barca sopraelevata, in cima a palafitte piantate per terra, fatte di legno e con il tetto in bambù. Sono decorate da intagli intricati e dipinte di rosso, di nero e di giallo - ogni motivo ha il suo simbolismo. E corna di bufalo in piena facciata, più ce ne sono, più prestigio alla casa.
Vedo la folla e sento l’odore, che cresce più forte a ogni mio passo. Il fumo è acre e penetra dentro. Non sono ancora dentro al villaggio, però me lo sento addosso, sui capelli e alla gola. Poi c’è un altro odore che io non conosco: è ferroso, dolciastro e risale lo stomaco. È il sangue fresco che innaffia la polvere, ma lo capisco solo quando lo vedo.
E sento i tamburi, bassi e ossessivi, da scena tribale dei documentari. Scandiscono il tempo di quell’esperienza, accompagnati da piedi che sbattono. Sento le scosse su dal terreno.
Osservo la scena. C’è un cerchio grande di uomini in piedi, che balla, che sbatte e grida e suona. Nel mezzo del cerchio, una bestia gigante che l’ha capita che non sia il giorno ideale. E infatti muggisce e scuote le corna - nero, sudato. E arrivo in tempo per vederlo sgozzare. Lo fanno a pezzi con un machete. Non è il primo bufalo della giornata, a giudicare dalla catasta di carne. Io mi sistemo rimanendo in disparte e loro ne fanno un’asta, pezzo per pezzo.
Intanto la musica mi ha rintronato, i cani latrano, guaiscono, leccano a terra. Sono imbambolata dentro l’incanto che precede di poco lo sconvolgimento. Anticipati da stridule grida, passano maialini legati ai pali, appesi di forza per le zampette. Vanno al patibolo poco lontano a prepararsi per il nostro pranzo.
Tutti gli animali sacrificati sono donati dalle famiglie dei morti. Hanno risparmiato per lunghissimi mesi, così da offrire al proprio caro il funerale più ricco. Per questo motivo, come è normale, non importa la data di morte: i defunti vengono sepolti soltanto in agosto. L’estate è il momento ideale, perché così anche i figli lontani (chi lavora in azienda, chi studia, chi all’estero ha cambiato vita) possono raggiungere la casa di mamma e scannare bufali con il villaggio.
Finché non sono seppelliti ad agosto, i morti rimangono imbalsamati in famiglia. Il cadavere è sdraiato in casa o messo seduto, si dice che dorma e non sia ancora morto. I familiari ci parlano, gli portano cibo, chiedono consigli e si prodigano in cure: la vera morte sarà il funerale. In certi casi anche anni dopo.
La tradizione mi appare macabra, però in quel momento sono i sacrifici animali che mi disturbano. Perché poverini non c’entrano niente, ma vengono uccisi per compagnia: più animali sono ammazzati, meno solo si sentirà il defunto - durante il viaggio per il paradiso. E qui viene il bello. Perché anche per i Toraja c’è il paradiso: loro si dicono credenti cristiani. Il cristianesimo è religione ufficiale e, sopra ai corpi imbalsamati alla meglio, svettano dipinti con Gesù Cristo. Hanno riadattato la parola del Dio cristiano e integrata alla grande con l’animismo.



Quando finisce il funerale, i morti sono sepolti ma non c’è un cimitero. Finiscono in nicchie scavate nelle rocce o in bare di legno in fondo alle grotte, oppure ancora sopra balconi a sbalzo su pareti di sasso. Davanti all’apertura delle caverne ci sono i Tau Tau a guardarti male. Sono statue di legno: rappresentano i defunti, vestite con abiti veri e rivolte all’esterno, a mo’ di guardiani.
Il legno delle bare si consuma presto e quindi è comune, mentre sei in giro, trovare scheletri esposti per strada. In quei giorni a Tana Toraja, mi sono abituata a vedere la morte che è parte integrante della natura: ogni posto è buono per un teschio tra l’erba e per incontrare defunti che accompagnano i vivi.
I neonati invece, e questo commuove, sono messi in verticale nel tronco di un albero vivo. Così che il bambino diventi grande lo stesso, insieme all’albero che lo custodisce. La finestrina dove è inserito, è sempre scavata dal lato opposto al villaggio, in modo che il bimbo non possa vedere la mamma che piange e che lo tratterrebbe su questa terra.









Ora ci credi che, nonostante gli anni, il viaggio lo ricordo per bene? Ci credi che - mentre noi ci alleniamo ad anestetizzarci e scrollare via - c’è un popolo che decora il cortile di sangue e vive con morti più vivi dei vivi?
Google mi dice che sì, lo fanno ancora. E io ci credo. Perché sono tradizioni potenti. E se sono sopravvissute incolumi al capitalismo, al turismo, al giudizio - e pure ai dogmi di Gesù Cristo - sopravviveranno ancora più a lungo.
Sopravviveranno. Ballando in faccia alla morte, alle crisi nostrane e alla borsa che crolla. Scuoteranno i tamburi sui dazi di Trump.
Gaia
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☕ Ci vuole caffeina per scrivere:
🎂 Cosa sto facendo di nuovo e perché mi senti un po’ meno spesso:
🤡 Leggi la storia di Cirillo:
Questa è un'esperienza unica, che offre molti spunti di riflessione a chi ha interessi di antropologia...ottima narratrice, sembra di stare lì con te....
Avevo sentito di questa usanza. Mamma mia, non sapevo che vi si potesse assistere. Che bel racconto, anche se un po’ inquietante 😊