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“Solo due euro. Non perdere l’occasione di cavalcare i cavallini pony al centro della pista, tre giri di pista a soli due euro. Forza bambini! Raggiungete il centro della pista anche da soli, senza alcun pericolo. Cavalcate i cavallini pony al centro della pista.”
I miei nipotini fanno equitazione. E salgono su cavalli molto più grandi rispetto a quei tristi pony panzoni del circo, quindi siamo graziati: non gli interessa.
“Bambini! Sta passando tra di voi la nostra valletta Vivian con le bellissime lucette da accendere durante l’esibizione della Donna Laser. Soli tre euro. Comprate le lucette per partecipare all’esibizione della Donna Laser.”
I miei nipotini sono troppo svegli per farsi fregare dalla Donna Laser e anche qui siamo graziati: vogliono i pop-corn loro, altro che le lucette.
“Mancano pochi minuti prima dell’inizio dello spettacolo. Non perdete l’occasione di cavalcare i cavallini pony del circo Orfei. Cavalcarli è facile e divertente. Forza bambini! Raggiungete il centro della pista.”
I miei nipotini mi hanno costretto ad andare al circo. Lo hanno fatto subdolamente, come tutti i bambini che nascono con dotazione di occhioni grandi e innato sguardo pietoso, come se dalla tua risposta affermativa dipendesse il loro amore eterno nonché il destino dell’umanità tutta. E chi sono io per distruggere l’umanità tutta?
Quindi sono al circo. E mentre aspettiamo l’inizio dello spettacolo, parte pure Rovazzi di sottofondo.
Col trattore in tangenziale
Andiamo a comandare
Scatto foto col mio cane
In ciabatte nel locale
Sboccio acqua minerale
Andiamo a comandare
La distruzione dell’umanità era un’opzione ragionevole, a pensarci bene.
“Zia, così ci scrivi un bel racconto sul circo, no?”
L’ho detto: subdoli. Quindi non soltanto sono finita la domenica pomeriggio dentro un tendone sbiadito nella zona industriale di Foligno, ma – settimane dopo - sto anche scrivendoci un racconto poiché “Zia, il racconto sul circo non lo pubblichi più? Noi lo aspettavamo mercoledì scorso!”
Quindi oggi la storia è dedicata a voi, nipotini. Certo non garantisco sia adatta ai minori. Tanto le zie hanno il compito di viziare, mica di educare. Se poi i pagliacci si sono dilettati in ambigui siparietti sadomaso, in piena pista e tra gli applausi entusiasti di adulti innocenti e bambini guardoni, non è certo colpa mia. Io sono una reporter fedele e sarai tu, sorella maggiore, a spiegarlo ai tuoi figli.
Cominciamo proprio dal Clown.
Si chiama Cirillo e al povero cristo il suo mestiere non piace. Forse un tempo Cirillo era fiero di lanciare in aria le clave, far finta di perderle, inciamparci e cadere per vedere la gioia sul volto dei bimbi che lo guardavano con gli occhietti ridenti. E forse Cirillo pensava che se di lavoro fai rider la gente, quella non era stata una cattiva scelta.
Ora ha sessant’anni e quei bimbi sono grandi, disillusi come lui e forse di più. Gli fa male la schiena, le lombari schiacciate da una caduta: ha provato il trapezio, non ha fatto per lui. È da trent’anni che vive in un carro, ogni due settimane smonta tutto e riparte, il direttore del circo gli nega l’aumento. L’unica certezza che gli è restata è quel naso rosso che lo identifica e che appena può lui solleva per poter respirare e lo poggia in fronte tutto smosciato. Lo vedo staccare i biglietti e poi sbadigliare, fissare lo smartphone e guardare l’ora. Oggi è l’ultima sera a Foligno e domani si riparte verso marmocchi nuovi.
Suo padre era notaio di uno studio avviato e trent’anni fa gli era parso geniale, ribellarsi sdegnato e mollare tutto per unirsi a un circo itinerante, invece di assecondarlo con la professione. Gli pareva che tutte quelle scartoffie, le leggi a memoria e i decreti per pranzo, volessero dire sprecare le ore. Ora Cirillo non ne è più sicuro: tutto diventa routine, giocoleria inclusa.




Eppure, quella monotonia è rotta da Johnny: pagliaccio collega o forse di più.
È molto più giovane, è moro corvino, la bocca rossa che non ha bisogno di trucco. Johnny ride di lui e lo chiama cenciaccio, però quando recitano in mezzo alla pista e piegato per terra si fa sculacciare col guanto viola gigante che Cirillo indossa, il pubblico che ride rimane sullo sfondo e Cirillo sa che tra loro c’è altro.
Però la sera Johnny flirta con tutte e Cirillo geloso le studia a sua volta. L’addestratrice dei pony che era impiegata di banca, ora puzza di stalla ma ha una risata che stende; l’acrobata sui trampoli che era spogliarellista, è un po’ depressa, ma balla divina; e la Donna Laser che è cresciuta nel circo – papà domatore e mamma fachiro – ha l’alitosi, ma le cosce che cantano. Johnny fa lo scemo con tutte quante, però quando fanno il numero loro due insieme - quello in cui Cirillo lo lega con manette e catene - i loro sguardi febbrili si incontrano e lo sentono entrambi che sarebbe meglio essere soli. E quando Johnny è travestito da scimmia e mugola, grida e corre tra gli spalti, Cirillo quanto vorrebbe che gemesse per lui.
Ciao! Oggi siamo in una storia circense, ma se vuoi immergerti in avventure passate le trovi qui: Egitto, Colombia, Ladakh, Mongolia.
I numeri vanno avanti uno dopo l’altro, il migliore per me è però uno spettatore. Ciabatte di cuoio e calzettoni di Gucci, pantaloni leopardati sopra al ginocchio, blazer, occhiali, cilindro in testa e bastone da passeggio di inizio 800. Penso che abbia un colloquio col direttore del circo per farsi assumere come costumista, uomo forzuto o mangiafuoco. Speriamo la faccia bene questa intervista e che il CV l’abbia preparato a dovere: per me è perfetto per la posizione e lui lì dentro è il più azzeccato di tutti.
A spettacolo finito usciamo con la meraviglia in faccia, i bimbi saltellano e i genitori discutono della cena. La mia nipotina si allontana convinta, raggiunge l’uomo al microfono che presentava e lo ringrazia con la voce squillante, affermando che il circo le è tanto piaciuto.
“Grazie a te di essere venuta!”
Risponde lui pronto e le fa un sorrisone. Fa la sua parte interpretata alla grande oppure è proprio convinto che la magia esista davvero, fin quando c’è qualcuno lì che ci crede.
Cirillo invece è rimasto in un angolo, lo vedo col trucco colato che abbozza un sorriso verso la mia nipotina e pensa che forse anche oggi ne sia valsa la pena. Poi guarda me e lo sa che pure io, come lui, l’indomani lavoro. Davanti uno schermo e seduta composta, senza trapezi e senza cappelli, ma in fondo la maschera è per tutti quella.
Mi scruta, il naso rosso sollevato già in fronte, e me lo dice senza parlare: io di lavoro vivrò in un circo, ma il circo - quello vero – sta fuori.
Gaia
Oggi era un racconto di città. Ti è piaciuto? Regalami un cuoricino se hai letto. Lo aspetto!
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Il circo mi ha sempre messo tanta tristezza quindi posso capire quello che hai scritto!