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Sorrideva con denti bianchissimi.
Brillanti di un bianco abbagliante. Se il resto dell’aspetto non fosse stato così dimesso, così poco studiato, avrei detto che li sbiancasse di proposito. Però proprio non ce lo vedevo quell’uomo magro, dal viso scarno e la felpa grigia, a pagare trattamenti sbiancanti. Doveva essere un dono di natura.
Il resto dell’uomo era normale al punto da rasentare la noia: capelli spruzzati di grigio, con l’attaccatura alta, quasi stempiato. Sopracciglia invisibili, labbra fini, occhi piccoli castano scuro sopra un naso né grosso, né piccolo, né dritto, né storto.
Però poi lo avevo visto sorridere. Quel cinquantenne invecchiato presto aveva illuminato la stanza. Il collo si era allungato, gli occhi si erano ristretti, la mano destra era andata alla testa col gesto di chi ha vinto alla lotteria e non ci crede che sia successo a lui. Proprio a lui. La carnagione pallida, con quel sorriso addosso, pareva diventata rosea, rischiarata, sana.
Avevo seguito il suo sguardo per capire cosa lo rendesse così splendente di felicità. I suoi occhi attraversavano la stanza di ospedale senza vederla, attraversavano il letto del suo compagno di camera e il compagno stesso, andavano oltre. Senza posarsi sulle flebo, sul macchinario che ronzava, sul vassoio sporco con la zuppetta arancione secca e la mela sbucciata a metà.
Gli occhi si fermavano concentrati a fissare la porta aperta, vuota.
Poi, alla porta, era comparsa la Dottoressa Biagi.
“Salve, Elia. Come andiamo?”
Era seria, un blocco in mano, seguita da due tirocinanti nervosi. I capelli stretti in una coda bassa e il camice largo a nasconderla come un mantello troppo grande. Lo sguardo duro, le sopracciglia nere contratte e il grigiore intorno agli occhi di chi non ha dormito abbastanza. Oppure di chi non si è ancora abituato a dare brutte notizie.
“Buongiorno Dottoressa, la aspettavo.”
Avevo guardato di nuovo l’uomo: le spalle gracili tirate indietro, impettito come poteva, brillava di luce sua. Invece che su un lettino con le sbarre ai lati sembrava seduto su un trono. Gli occhi non si erano oscurati nello scontro con lo sguardo severo di lei, anzi la bocca si era allargata ancora un po’ e il bianco dei denti era così sfacciato che avevo riso con lui.
Ad aver avuto un po’ più di tempo, quel sorriso avrebbe smosso anche la dottoressa. Avrebbe spostato il giusto e lo sbagliato.
Di tempo a disposizione non ce n’era più.
L’avevo capito dagli occhi della Dottoressa Biagi - che di nome si chiamava Anastasia, faceva quel lavoro da 20 anni, aveva una figlia chiusa in camera e un marito chiuso in ufficio.
E lo aveva capito anche Elia.
Lo aveva capito così bene che, per la prima volta, non aveva aggiunto altro. Come sempre, le aveva detto che l’aspettava, come sempre aveva sorriso, ma non le aveva chiesto di fermarsi per due chiacchiere. Non l’aveva invitata a cena. Non aveva dato il via al battibecco garbato a cui avevo assistito così tante volte, fin da quando lui arrivava in ambulatorio una volta ogni tanto, per i controlli di routine. Non è giusto, sei un mio paziente, non si esce coi pazienti. E chi l’ha detto? Ho un codice etico e pure un marito. E allora? Io qui non vedo né codici né mariti.
C’ero rimasta male. Quello scambio era parte anche di me. Poi avevo capito che invece c’era stato eccome, solo che passava dagli occhi.
“Brutte notizie, vero dottoressa?”
Anastasia Biagi aveva dato un’occhiata alla cartella con i risultati che aveva in mano e poi si era tolta il camice. Ne era emersa una donna minuta, con pantaloni morbidi beige e una t-shirt bianca.
“Ti posso offrire un caffè, Elia? Andiamo al bar qui fuori.”
Elia l’aveva guardata come chi ha ricevuto la notizia più bella della sua vita. Era scivolato giù dal letto con la fretta di un ragazzino e aveva afferrato un libro sul comodino, sfogliandolo rapido. Ne aveva estratto una rosa essiccata, i petali bordeaux stretti l’uno sull’altro in un abbraccio.
“L’ho presa il giorno che ci siamo conosciuti. Quando sono venuto nel suo studio per la prima volta. Non vedevo l’ora di dargliela.”
Gli occhi di Anastasia erano bagnati, ma Elia aveva sorriso riempendoli di luce.
E tutta la stanza aveva sorriso con lui.
Gaia
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Carissima, scusa il ritardo, ho avuto due giornate di fuoco...ma il racconto mi è piaciuto molto, riesci sempre a suscitare emozioni, qualsiasi sia il tema di cui parli. Questo è un racconto pieno di dolcezza, ma tanto triste....
Molto bello e delicato.