[4 min] Ciao! Questo è un racconto cittadino, la storia di uno dei tanti invisibili che hanno accompagnato i miei anni a Milano. Dalla settimana prossima si torna in viaggio, in Amazzonia. Grazie di essere qui!
Non fa uso di droghe.
Anzi sì, la più pericolosa, socialmente accettata e disponibile ovunque. Quella che tutti abbiamo provato e che tutti teniamo a casa: quando cammina in corso XXII Marzo ha sempre una bottiglia in mano. Lo vedo ogni giorno e un giorno dopo l’altro mi domando se davvero il baratro possa acchiapparti, sbatacchiarti e mollarti laggiù, scomposto e derelitto, solo a forza di birra. Non credo. Ce ne devono essere stati altri di alcolici, più forti e a lungo, perché quello che incontro oggi sulla sua faccia è irreversibilità. E arroganza.
È giovanissimo e ha l’arroganza di chi non ha compiuto i trenta. E un giorno dopo l’altro mi domando se dietro quel passo spavaldo - se pur barcollante - e dietro quello sguardo sfacciato - se pur annebbiato - ci sia la consapevolezza della sua situazione.
La mattina pare di sì. La mattina sorride e saluta allegro, la mattina forse si sveglia pensando che è un giorno nuovo e oggi smetto.
Da mezzogiorno in poi è un’altra storia, da mezzogiorno in poi è già ubriaco, andato, e gira con la bottiglia di Bavaria da mezzo litro stappata ad altezza petto, pare sempre pronto a brindare, e una busta di plastica dove ce ne sono pronte altre tre. Parla da solo e se gli incroci lo sguardo parla con te. I suoi discorsi sono confusi e in bulgaro per metà, ma italiani di merda lo pronuncia benissimo.
Dopo le 18 diventa molesto e quando lo incrocio attraverso la strada e lo controllo dal marciapiede opposto, perché più volte mi ha accolto con le mutande abbassate.
Qui nel quartiere lo chiamiamo per nome e ognuno ha il suo modo di confrontarsi con lui. C’è chi preventivo gli dà spintarelle per evitare che si avvicini troppo al suo locale di via Bazzecca, c’è chi lo ignora e passa dritto e veloce a sguardo alto che così quasi non esiste. C’è chi - come me - lo saluta se è in buona e gli gira al largo di sera.
E poi c’è chi, con ottimismo ingenuo che puzza forte di ipocrisia, lo prega di smettere perché gli spiega che Ivan lo sai, l’alcol ti fa così tanto male. Lui beffardo fa segno di sì, dietro capelli neri ribelli, e allunga una mano per chiedere soldi che la bottiglia che ha di fianco è quasi finita.
Tra i clacson impazziti al semaforo di piazza Emilia, lo vedo passare sfidando la sorte. Supera il tram, lo scooterista incazzato, il monopattino elettrico e i ragazzini che ballano in diretta davanti un iPhone sul davanzale. Lui nel mezzo non ci fa caso e prosegue convinto in quei jeans stretti, il cappotto consunto, bassino e gracile, la pelle olivastra, i ciuffi mori e il suo mondo malfermo che ha nella testa.
La notte che ho chiamato l’ambulanza l’ho trovato per terra, appena schiantato sulla bottiglia, ferito alle braccia e steso sfinito a faccia in giù in mezzo a pezzi di vetro. Ho aspettato lì che l’ambulanza arrivasse, domandandomi se la sua mamma - in quel paesino di campagna della Bulgaria - lo cercasse ancora o fosse ormai rassegnata. Quando tanti anni fa è scappato inseguendo Valeria, l’aveva messo in guardia e senza successo aveva provato a fermarlo. “Lei è qui in vacanza, ma il suo è un altro mondo, è un bel sogno per te, ma per lei è un gioco. Non c’entri niente con lei e quella città può rovinarti soltanto, dai retta a me!”.
Valeria forse per un po’ lo ha amato, quando vivevano insieme nel suo appartamento elegante. Lo ha aiutato a trovare lavoro, come meccanico in un’officina di via Cadore, lo ha rivestito e gli ha presentato i suoi amici. Insieme agli amici gli ha presentato lo sballo, la vita di notte, le droghe più nuove. E poi all’improvviso, un biglietto d’aereo: glielo ha regalato. Torna a casa vai via, tra noi è finita, sei diventato noioso e alcolizzato. E poi io ora mi ripulisco che l’hanno prossimo comincio il mio master e devo rimettere la testa a posto. Dovresti farlo anche tu: ti vedo male.
L’ambulanza non era ancora arrivata che all’improvviso Ivan si è risvegliato da solo. Si è aggrappato al lampione e rimasto lì storto.
La sua mano appoggiata su un adesivo, con disegnato lo skyline di Milano: vivi la City, la fashion week sta arrivando - così c’era scritto sul logo. Ivan ha guardato stupito il sangue per terra e poi è esploso in una risata, togliendosi una a una le schegge dal braccio.
“Aspetta Ivan, non te ne andare. Arriva un medico tra qualche minuto. Ti fanno un controllo, ti danno un po’ d’acqua.”
Lui mi ha osservato riconoscente, ha farfugliato un grazie e un sorriso. Poi si è allontanato via dentro il buio, lanciandomi un’ultima occhiata espressiva:
“Ho conosciuto amore, gioia e speranza. Ho perso tutto, ma l’ho vissuto davvero e comunque sia andata ne è valsa la pena. Non mi guardare con la pietà negli occhi e vai a dormire che domani lavori. Io ora smaltisco, mi godo la notte.
E attendo libero che arrivi la fine.”
Gaia
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Mercoledì prossimo si torna in viaggio, con un racconto dall’Amazzonia, se avessi perso le prime due tappe, eccole:
Ci sono troppi Ivan al mondo purtroppo, dalla più grande città al piccolo paesino. A volte mi chiedo se sia per colpa di una mancanza di insegnamento nella gestione delle emozioni quando cresciamo, o se è semplicemente il destino mescolato ad una somma di scelte sbagliate.
Per quanto le persone così ci sembrino venire da un’altra dimensione, quasi come se fossero dei fantasmi, potremmo essere nella stessa situazione se solo fossimo nati in un altro posto, o avessimo avuto genitori diversi, o una situazione più difficile in cui crescere.
Il fatto è che probabilmente non c’è nemmeno una soluzione…
La vita è tutta fatta di sballi. Ma i nostri sono più "normali". Lo sballo da lavoro, lo sballo da aperitivi , lo sballo delle cene a sei (numero ideale - è stato certificato - ) per non annoiarsi. Lo sballo dei viaggi che sembra ti diano libertà ma poi, di lì ritorni sempre qui! Lo sballo che devi avere un ragazzo o una ragazza per forza se no (sesso a parte) che cosa vivi a fare? Lo sballo della "donna con il cane" figura patetica che popola le nostre città, un'icona ironica della traslazione dell'amore e e dell'affetto da una persona ad un animale. Lo sballo dei figli che chissà perchè si devono mettere al mondo che dopo 90 anni se va bene muoiono. (per far felice l'utero ?)
Il coraggio del bulgaro è lo sballo anormale, antagonista: lo sballo del rifiuto il cui totem è la birra. Non il coganc o il whisky o lo spritz della studentessa della ZTL col master qui o là. La birra. La più effimera e disgustosa sostanza sballante. Soprattutto se non hai il frigorifero portatile lei diventa calda e sembra piscio. Te la porti dietro come un amore ammuffito che si trascina a fianco a te. Non ti chiede nulla e ti dà pochissimo. Povero lui, il bulgaro, ma poveri anche noi schiavi dei nostri sballi. P.S. Hai letto il mio libro?